Storia di Bellegra (tratta dal libro "BELLEGRA" del Sac.Antonio Onori)
Monte Celeste
Monte Celeste si erge nel Lazio centrale, tra la valle del fiume Aniene, affluente sinistro del Tevere e quella del Sacco, affluente destro del fiume Liri-Garigliano. Esso inizia in contrada Sbarre, gradualmente si innalza fino all'altezza di 815 metri sul. livello del mare e con la Mora Valea o Vallea digrada in contrada Vaccarecce. Sulla zona più alta di Monte Celeste sorge Bellegra, denominata Civitella dal secolo X al secolo XIX.
Il fianco Est di Monte Celeste, che guarda verso Subiaco, scende a precipizio sul territorio sottostante; il lato Ovest, volto verso San Vito, digrada in massima parte con l'impressionante pendenza del 60 % circa. Monte Celeste è al centro di un immenso anfiteatro di monti che formano un imponente, ed incantevole corona, ricca di vivaci forme.
A Nord si ergono i Monti Tiburtini, e spicca monte Gennaro. Seguono, allineate, le tre vette dei Ruffi, denominate volgarmente le mammelle d'Italia. L'arco montuoso segue con i Monti Carseolani ed i Simbruini settentrionali, nei quali si annidano Oricola e Cervara di Roma. Ad Est i Simbruini centrali e meridionali. Fra loro emergono: Monte Calvo, che rimboschito con conifere dopo la seconda guerra mondiale sta ricoprendosi di verde; Monte Livata, sede di sport invernali; Monte Talco, nelle cui grotte il giovane Benedetto da Norcia si santificò e maturò il disegno di fondare il monachesimo occidentale; Monte Autore, che durante l'inverno, coperto a lungo di neve, pare un vecchio incappucciato.
Sul fianco occidentale il celebre e venerato santuario della SS. Trinità, annualmente visitato da migliaia di credenti.Monte Viglio, alto 2156 metri giganteggia sul sistema; alle sue falde nasce il fiume Aniene, che dà il nome a tutto il bacino imbrifero.A Sud i Monti Ernici, la fertile pianura della Ciociaria ed i Monti Ausoni ed Aurunci. Ad Ovest i Lepini nei quali troneggia la vetta Semprevisa, alta 1536 metri. Dopo la stretta zona pianeggiante; percorsa nell'Evo Antico dalla Via Latina, i Prenestini chiudono l'immenso anfiteatro. I monti, che circondano Monte Celeste, non sono ricchi di vegetazione ed anche durante il periodo estivo presentano zone brulle. D'inverno si ammantano di neve e formano un diadema candidissimo e luminoso intorno ad esso. Il territorio della valle dell'Aniene è ondulato. Colline coltivate a cereali e ricche di viti ed olivi succedono a colline verdi di castagneti, fino ai piedi dei monti. In luoghi sicuri e pittoreschi sorgono vetusti e storici castelli. Da monte Celeste possono contemplarsi a Nord ed Est, nella terra degli Equi: Ciciliano, Cerreto, Rocca S. Stefano; Rocca di Mezzo,. Rocca Canterano, Canterano, il territorio di Arsoli, Oricola, Cervara di Roma, Subiaco con la sua medioevale rocca abbaziale, i celebri monasteri sublacensi, centri di religiosità e di cultura, Arcinazzo Romano annidato tra i Monti Affilani ed il grazioso Monte Altuino, il territorio di Affile, e Roiate adagiato sul fianco del maestoso monte Scalambra.
La valle del Sacco, con la sua testa nei boschi di Montecasale, si stende verso il meridione, allargandosi nella Ciociaria fra i Monti Ernici ed i Lepini. I suoi fianchi, costituiti inizialmente da fertili colline, ricche di vigne e di oliveti, produttori di ottimo vino e raffinato olio, prolungandosi, lasciano il posto alla pianura. Gli Ernici la resero celebre. Nel varco, lasciato dai Lepini e dai Prenestini, ha timidi inizi il territorio pianeggiante, che si protende fino al Mar Tirreno; fu abitato dai bellicosi Volsci. Da Monte Celeste ad Ovest e Sud, sulle vette e sui fianchi dei monti, sulle colline ed in pianura, si osservano: un lembo di S. Polo, Guadagnolo, La Mentorella, Capranica, Rocca di Cave, S. Vito, Velletri, Anzio, Nettuno, l'azzurro Tirreno, Artena, Valmontone, Colleferro, Segni, Montelanico, Carpineto, Gavignano, Gorga, Sgurgola, Morolo, Rocca Massima, Anagni, Ferentino, Paliano, Olevano Romano, le terre del Serrone, del Piglio e di Acuto.
Il Panorama, che si apre intorno a Monte Celeste, è vasto, vario e splendido in ogni stagione dell'anno, presentando ubertose pianure, ridenti colli, austeri monti, con molteplici colori e forme e numerosi cittadine e paesi, che durante il giorno ricordano le vicende del passato e nelle ore notturne sembrano costellazioni luminose.Gli osservatori ne restano incantati, lo incidono nella loro fantasia, lo rammentano con perenne emozione. Monte Celeste al pregio panoramico associa la sua millenaria storia. Vi ebbero stanza gli Ernici, gli Equi, i Romani. I maestosi avanzi poligonali, la strada consolare, le tipiche opere cementizie romane, i reperti archeologici in metallo, in marmo ed in ceramica, le sue vicende di libero comune, il complesso edilizio, le chiese, le tradizioni religiose, culturali e sociali ne proclamano la vitalità. Gli scrittori ne hanno lasciato elogi entusiastici.
Valga per tutti ciò che scrisse il reverendo don Vincenzo Maria Ronconi, vicario generale dell'abbazia nullius di Subiaco, nel manoscritto della sua visita pastorale del 1791, visita effettuata per mandato del pontefice Pio VI. “ Civitella sorge su un alto monte, ma il suo aspetto è così bello ed elegante che piace anche a chi non lo voglia. Domina all'intorno l'intera abbazia e le pianure delle diocesi di Palestrina e di Anagni, e da questa sua splendida posizione gode, giubila e saluta le stesse onde del mare. (Il Mar Tirreno).
L'aria è piacevolissima e saluberrima e le comode strade offrono gradite occasioni a passeggiare. Possiede un vastissimo territorio ed abbonda di ogni genere di prodotti (rinomati per qualità e quantità)”.
Il primo complesso edilizio sorto sul Monte Celeste
Opinioni di Storici
Nel secolo XIX alcuni storici hanno tentato di rintracciare il nome, appartenuto all'abitato eretto sul Monte Celeste. Antonio Nibby scrive testualmente: « Io credo di ravvisare in questo luogo la posizione di “Vitellia”, città ricordata da Livio, Plinio, Svetonio e Stefano che Bitella la chiama. Imperocché quella colonia fu fondata sul territorio degli Ernici, onde tenere a freno gli Equi. Di parere contrario è lo storiografo Giuseppe Marocco, che cosi si esprime: “Una grande e forte città vi era e non si esclude fosse l'antica menzionata "Belecre" degli Equi ».
Gregorio Iannuccelli non è riuscito a maturare una sua personale opinione e perciò si limita a riferire le supposizioni del Nibby e del Marocco. Egli così espone il suo pensiero: “.... Civitella è il residuo di una grande città, eretta forse sulle rovine dell'antica Bellegra secondo il Marocco; Nibby poi opina che essa occupi l'acropoli dell'antica Vitellia, la quale stendevasi verso la chiesa di S. Sisto ».
Il Marocco, esprimendo la sua opinione, si mostra incerto, ne convalida la sua affermazione, citando fonti.
Il Nibby appoggia la sua intuizione sugli scrittori romani: Livio, Plinio, Svetonio e sullo scrittore Alessandrino Stefano. Noi riteniamo probabile la sua persuasione per due motivi:
· perché la città Vitellia è certamente esistita; ne sono testimoni gli storici su menzionati;
· perché alcune indicazioni geografiche di Tito Livio ci orientano verso il Monte Celeste.
Procediamo ordinatamente.
La città Vitellia è esistita
Lo storico romano Tito Livio (59 a.C. 17 d.C.), narrando le tristi vicende di Cneo Marcio Coriolano nella storia di Roma, ci tramandò che Coriolano, dopo aver occupato e consegnato la città Circei e le altre città romane: Satrico, Longula, Polusca e Corioli di recente conquista, ai Volsci, conquistò lavinio e « da qui varcando per strade traverse la Via Latina, prese da ultimo Corbione, Vitellia, Trebio, Labico, e Pedo »
Lo stesso Tito Livio asseri che « Gli Equi si impadronirono di Vitellia, colonia romana, situata sul loro territorio ». Gaio Svetonio Tranquillo (75-160 d.C.) nella sua opera: « De Vita Caesarum », quando tratta di Vitellio, scrive: « Abbiamo un libello di Quinto Elogio, diretto a Quinto Vitellio, questore del Divo Augusto, in cui si legge che... indizi di questo casato (la gente dei Vitelli) rimasero a lungo nella via Vitellia, che va dal granicolo sino al mare ed anche in una colonia dello stesso nome, di cui i Vitelli un tempo avevano voluto assumersi, con le sole forze della loro gente, il compito della difesa contro gli Equi.
Le indicazioni geografiche di Tito Livio orientano verso Monte Celeste
Dalla narrazione dello storico romano Tito Livio emergono due circostanze, riguardo all'antica città di Vitellia: 1) che partendo da Lavinio si accedeva ad essa, attraversando la Via Latina; 2) che essa era una colonia romana “in agro Aequorum” (nei pressi del territorio degli Equi, all'epoca dell'espugnazione. Svetonio ricorda Vitellia come colonia romana da difendersi contro gli Equi. Se si pensa che la Via Latina partendo da Roma, oltrepassato il monte Algido, penetrava e si snodava sulla distesa pianeggiante, situata fra i Monti Ernici ed i lepini, dirigendosi verso la Campania Felice, e che era perciò a pochi chilometri da Monte Celeste, si può congetturare come probabile, a nostro avviso, che gli avanzi edilizi di Monte Celeste siano appartenuti all'antica Vitellia, espugnata, come Labico, da Coriolano prima di marciare su Roma. E' significativo peraltro che nessun altro luogo della zona possiede elementi, per rivendicare a sé il nome di Vitellia come Monte Celeste.
Questa probabilità è avvalorata dalla nota geografica, indicata da Livio, narrandoci la caduta di Vitellia nelle mani degli Equi, nel quarto secolo di Roma. Egli infatti asserisce: «Gli Equi si impadronirono di Vitellia, colonia romana, situata in agro Aequorum". Essendosi però l'occupazione verificata di notte per tradimento, la massima parte dei coloni fuggi liberamente dalla parte opposta della città e raggiunse Roma ». Secondo la narrazione liviana Vitellia era - in agro AEQUORUM - ai suoi estremi confini, giacché, se si fosse trovata nel territorio interno degli Equi, i coloni romani non avrebbero avuto scampo e non avrebbero potuto raggiungere Roma indisturbati, fuggendo dalla parte opposta della città.
Inoltre la sua espugnazione era così difficile che gli Equi vi riuscirono soltanto con la connivenza di traditori e durante il riposo notturno dei coloni, benché fossero un popolo guerriero.
Pensando che gli Equi erano stanziati nella Valle dell'Aniene, per ammissione di tutti gli storici, ci sembra che i dati fornitici da Tito Livio convengano egregiamente a Monte Celeste. Difatti Monte Celeste sovrastava il territorio degli Equi antichi; fu la zona di confine fra il territorio degli Equi e degli Ernici; era ed è tuttora difficilmente scalabile dal versante dell'Aniene; i coloni romani, per. la parte opposta al Sublacense, potevano fuggire e rifugiarsi in Roma, giacché gli Ernici ne erano confederati.
In questo contesto storico, ci pare che si possa ritenere molto probabile, se non certa, l'ubicazione della città Vitellia sul Monte Celeste.
Basandoci su questa solida probabilità, sfiorante la certezza morale, riteniamo che gli avanzi archeologici di Monte Celeste siano parte dell'antica Vitellia.
Epoca della fondazione di Vitellia
Basandoci sulle fonti a nostra, disposizione, possiamo affermare che Vitellia certamente esisteva già nel secolo VI a.C. e non può escludersi che abbia avuto origini più remote. Cneo Marcio Coriolano infatti, esiliato nel 491 a.C., essendo una città potente e temibile, la espugnò, prima di marciare contro Roma, come ci narra Tito Livio. Un'altra conferma di questa data l'abbiamo dai consistenti avanzi. di mura poligonali di primo tipo, che secondo gli esperti furono costruite in Italia dal VII secolo a.C. Vitellia non fu fondata dai Romani, che appartennero al gruppo etnico dei Latini e vissero inizialmente sui colli di Roma e nelle loro adiacenze, circondati da altri gruppi di Latini, stanziati dentro il Vecchio Lazio. Vitellia giaceva fuori dell'Antico Lazio, sul confine del territorio degli Equi e degli Ernici e perciò fu fondata da uno di questi due popoli. Con fonti a nostra disposizione è impossibile indicare con certezza quale di questi due popoli le abbia dato l'esistenza. Noi riteniamo più probabile che Vitellia sia stata fondata dagli Ernici, perché Coriolano, confederato degli Equi, non la riconsegnò a loro, dopo l'occupazione; perché gli Equi, accanitissimi nemici di Roma ed in frequenti guerre contro di essa dai primi anni della Repubblica non avrebbero aspettato il 360 di Roma, per rioccuparla, se ne fossero stati spogliati; perché fisicamente appartiene più alla valle del Sacco che a quella dell'Aniene, dove rispettivamente abitarono Ernici ed Equi; perché la maestosità delle mura poligonali presentano più analogia con quelle degli Ernici (Alatri, Ferentino ecc.) che con quelle degli Equi.
Vitellia Romana
Per testimonianza di Tito Livio, Vitellia era colonia romana, quando fu occupata dagli Equi nel 360 di Roma (= 393 a.c.) ma in qual tempo era stata aggregata al territorio romano e quando vi era stata condotta la colonia?
Mancano fonti specifiche, per dirimere le due questioni. Noi pensiamo che Vitellia sia divenuta territorio romano all'epoca della disfatta, subita dagli Ernici, per opera dei Romani nel tempo stesso, in cui Coriolano abbandonò l'assedio di Roma cioè nel 491 a.C. circa.Tito Livio non ci narra le cause del conflitto, nè come esso si svolse, ci trasmette però le durissime condizioni di pace.I Romani imposero ai vinti Ernici la consegna di due terzi del loro territorio e vi dedussero colonie latine e romane .La nostra opinione si fonda sia sulla ubicazione di Vitellia, la quale deve porsi indubbiamente sulla zona settentrionale dei territorio degli Ernici, considerando gli elementi storici e geografici, trasmessici da Tito Livio e sia sul fatto evidente che i Romani incorporarono alle loro terre la regione ernica del Nord.L'occupazione romana non comportò per sé l'immediata deduzione di una colonia nel territorio conquistato. Il Fraccaro ritiene che Vitellia sia divenuta colonia nel 395 a.C., che sia stata colonia latina e che sia stata distrutta nel 393 a.C., ma non indica le fonti specifiche della sua opinione. Noi accettiamo la data della costituzione della colonia, ma fondandoci sull'esplicita testimonianza dello storico Tito Livio, riteniamo che Vitellia sia stata colonia romana e che disgregata nel 393 a.C., durante l'occupazione degli Equi, per ]a fuga ed il rifugio in Roma, della massima pane dei coloni, sia stata ricostituita, dopo la riconquista della città, operata dal console Lucio Lucrezio.
Probabile trasformazione del vocabolo “vitellia” in quello di “civitella”
Abbiamo accettato l'opinione dello storico Antonio Nibby sull'ubicazione di Vitellia sul Monte Celeste, dimostrando la sua fondatezza, ma ne abbiamo respinto la supposizione che sia restata deserta dal secolo IV a.C., in cui la maggior parte dei coloni romani fuggirono a Roma, in seguito all'occupazione da parte degli Equi. fino al 967 d.c. Questo nostro atteggiamento ci pone di fronte ad una grave difficoltà. Quando, come e perché il nome di Vitellia fu cambiato in quello di Civitella?
Per Antonio Nibby e per quanti concordano con lui, la risposta è molto facile. Gli abitanti di Monte Celeste del secolo X, trovandosi sugli avanzi maestosi di una antica città ed ignorandone il nome, credettero conveniente riallacciarsi al passato, denominandola Civitella. Il vocabolo «civitella», infatti, considerato in sé stesso, deriva evidentemente dal termine latino “civitas-civitatis”; è diminutivo di « civita » e quindi equivale a “piccola città”.Noi abbiamo sostenuto che Vitellia sia stata sempre abitata e riteniamo probabile una nostra audace ipotesi filologica per il passaggio dal nome di Vitellia a quello di Civitella. Eccola. Le parole nei libri antichi venivano scritte legate, senza spazi intercorrenti. Ciò rendeva molto difficile l'apprendimento delle lingue. Spesso, come del resto anche attualmente, alcuni vocaboli di uso comune venivano abbreviati, scrivendo la sola prima lettera iniziale.Partendo da queste considerazioni, non è improbabile che la frase «civitas Vitellia » sia stata scritta, indicando con « C. » puntata l'appellativo « civitas » ed aggiungendo successivamente il nome proprio « Vitellia » per disteso, in tal modo da ottenere la seguente scrittura: « C. Vitellia ».Da tale scrittura, in epoche, in cui l'istruzione elevata era privilegio di pochi, fu facile passare alla lettura « Civitellia », prescindendo dall'abbreviazione originaria, che avrebbe imposto di leggere la « C. » puntata « civitas » e successivamente Vitellia, distaccando i due termini in tal modo, che la frase suonasse Civitas Vitellia.Ammessa come probabile la trasformazione della frase « Civitas Vitellia » nel vocabolo « Civitellia », il ritenere che il nome Civitellia si sia definitivamente cambiato in « Civitella », con la perdita della penultima « i », non causa sorpresa, pensando alle variazioni, a volte molto vistose, dei vocaboli latini, passati nella lingua italiana.Questa nostra ricostruzione linguistica, per spiegare in qualche modo la genesi del nuovo appellativo « Civitella » dall'antico « Civitas Vitellia », è soltanto un fantasioso arzigogolo? Ci auguriamo di no. Se l'ipotesi fosse corrispondente alla realtà, resterebbe svelato il mistero della successione dei due nomi per l'agglomerato di Monte Celeste.
Il nome « Civitella» compare per la prima volta nel diploma dell'imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Ottone I, diploma emanato il giorno lì gennaio 967. Egli concesse il diploma in seguito all'istanza presentatagli, nella basilica di S. Pietro in Roma, durante il pontificato di Giovanni XIII, da Giorgio, ex secundicerio, abate del monastero di S.Benedetto e S. Scolastica in Subiaco, avendo il fuoco devastato gli strumenti, trovanti la proprietà monastica, e lo stesso monastero. In esso fra i beni confermati al cenobio sublacense « nominatim et generaliter» si elenca anche « montem, qui vocatur Civitella in integrum ». Si tratta di proprietà privata e di dominio feudale. Civitella fu riconfermata al cenobio sublacense dall'imperatore Ottone I nel 967, ma ignoriamo la data precisa, in cui essa entrò a far parte del feudo abbaziale.
Il nome « Civitella » in documenti storici
L'Imperatore del Sacro Romano Impero germanico, Ottone I, nel 967 ed il pontefice Leone IX nel 1051 nei loro diplomi, riconfermando i beni ed i castelli abbaziali al monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, usarono il nome « Civitella » per indicare l'intero Monte Celeste con tutto ciò che conteneva. Leggiamo infatti: « Confermiamo... il monte, che si chiama Civitella "montem, qui dicitur Civitella" » .Pasquale II nel 1115 e Clemente III nel 1189, in cui gli abitanti di Monte Celeste erano costituiti in potente comune, denominarono il castello col semplice vocabolo « Civitella ».Il primo documento storico, a nostra conoscenza, in cui Civitella si denomina castello, è il trattato di pace stipulato nel 1230, fra l'abate Lando ed i signori di Civitella. In esso si legge che i signori di Civitella per lo stesso castello, « dominos de Civitella, pro ipso castro », procedettero ad una amichevole convenzione, dopo molte controversie.
CONTRASTI FRA L'ABATE UMBERTO E LANDONE DI CIVITELLA
Nei documenti medioevali dal diploma dell'imperatore ottone I del 967 fino all'abate Umberto (1050-1069) non si leggono più notizie su Civitella, L'abate Umberto, di nazionalità francese, eletto dalla comunità benedettina sublacense, ricevette la benedizione abbaziale dal pontefice Leone IX, il quale si era recato a Subiaco, per visitare il cenobio e lo speco di S. Benedetto. Tornando dalla Puglia, che aveva raggiunta per dirigere l'assedio del conte Gisulfo. Leone IX, nel suo soggiorno monastico, riconfermò al cenobio tutti i possessi con il diploma del 31 ottobre del 1051. Nel documento compare anche Civitella con la seguente frase: « Insuper confirmamur vobis... montem, qui vocatur Civitella ». Nella seconda metà del mille governava la popolazione di Civitella un certo Lando o Landone figlio di Trasmondo. Lando di Civitella insieme al Ildemondo furono scomunicati nel concilio romano del 1081 indetto da Gregorio VII e vennero denominati ambedue tiranni campanini .Una conferma indiretta per Lando di Civitella e diretta per Ildemondo per la loro provenienza dalla Campania è data dal Chronicon sublacense, quando narra che Ildemondo, dopo aver occupato renne, dominio del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, non potendola difendere da solo, la donò a Bartolomeo, Ciglio del principe di Capua, il quale venuto a Subiaco con Normanni e Longobardi, tentò di sbaragliare le milizie abbaziali, ma sconfitto dovette ritornare in Campania.Questa alleanza e la conseguente azione militare indicano tenaci contatti fra Ildemondo e la Campania.
Il Mirzio afferma anche che Lando di Civitella sia oriundo della Campania, giacché denomina il padre Trasmondo, conte di Teano.L'Andreotti sostiene l'identità di Lando di Civitella e di Ildemondo, dei quali a lungo tratta il Chronicon sublacense, con i due personaggi scomunicati dal concilio romano del 1081 osservando che i dati storici loro relativi concordano con le fonti subiacensi e che non si conoscono altri, vissuti al loro tempo, ai quali possano attribuirsi le loro gesta.
Dal 31 ottobre 1051, in cui Civitella è dichiarata possesso del monastero di Subiaco da Leone IX, al 1052, nel quale l'abate Umberto non annovera più Civitella fra i beni del monastero, che cosa era accaduto? Ci sembra ovvio pensare, riferendoci agli eventi degli anni successivi, che Landone aveva occupato e sottratto Civitella dalla giurisdizione del protocenobio sublacense, dando inizio al suo personale dominio su Monte Celeste, con un particolare regime comunale. A nostro parere quindi Landone divenne signore di Civitella tra il 1051 ed il 1052. Landone fu un uomo molto accorto, audace, patente e temuto, a giudicare dalle sue imprese. Nella sua vita spiccano i contrasti sorti con gli abati sublacensi Umberto e Giovanni V. L'abate Umberto governò il monastero di S, Benedetto e S. Scolastica in Subiaco dal 1050 al 1069. Tra l'abate Umberto e Lando di Civitella nacque un insanabile dissidio ed andò tanto oltre che l'abate Umberto catturò Lando e lo mise in prigione. Chronicon sublacense osserva che l'atteggiamento dell'abate Umberto fu provocato dal consiglio di imprudenti uomini, « consilio malorum hominum ». Lando fu rimesso in libertà, ma non sappiamo a quali condizioni. Egli tuttavia alimentò nel suo animo una decisa volontà di rivincita, Preparò minuziosamente una spedizione punitiva, riuscì a sorprendere fuori del monastero l'abate Umberto, lo trascinò in Civitella e lo chiuse in prigione, nel 1065. I monaci, costernati, si recarono a Civitella, per chiedere a Landone la liberazione del loro abate, ma egli non volle neppure riceverli. Di fronte a questo intransigente atteggiamento, si persuasero di aver perduto per sempre il loro superiore e consigliatisi, raggiunsero il monastero di Farfa e vi elessero per loro nuovo abate il monaco Giovanni figlio di Giovanni di Oddone, religioso di quella comunità. Lando, conosciuta l'elezione, ne fu costernato; convocò sublacensi e monaci, stipulò con loro un trattato e rimise in libertà l'abate Umberto. Non conosciamo le condizioni imposte nel trattato, ma è facilmente immaginabile che Landone con esso indeboli il potere sublacense e rafforzò il proprio. Il neoeletto abate Giovanni, con dignità e responsabilità ammirevoli, abbandonato Subiaco, se ne tornò fra i suoi confratelli di Farfa. Quale motivo indusse Landone a cambiare improvvisamente politica? Un motivo di opportunità e di accortezza diplomatica. Egli conosceva bene che il monaco Giovanni apparteneva alle potenti famiglie degli Ottaviani, conti di Sabina, e dei Crescenzi, prevedeva che sarebbe stato sostenuto da loro anche militarmente e perciò ritenne opportuno di tenerlo lontano da Subiaco, restituendo Umberto al suo monastero.L'abate Umberto, recuperata la libertà, commise un grave errore politico e religioso, perché < alienavit se a curia romanae sedis ». Egli appare infatti fra i seguaci dell'antipapa Onorio II.
Questo nuovo orientamento fu l'occasione dell'abbandono e dell'ostilità dei suoi monaci e degli estranei di opposto schieramento politico.Le condizioni del protocenobio divennero tristissime. Il monaco Giovanni de Azzo con l'aiuto dei sublacensi e dei suoi sostenitori si costituì abate di una parte dell'abbazia e «similiter unusquisque partem, quam poterat invadere, suam faciebat ».
Il papa Alessandro II, conosciuta la desolante situazione del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, che i suoi antecessori avevano amato ed arricchito, se ne rammaricò profondamente ed incaricò il suo arcidiacono Ildebrando, monaco pio ed ardimentoso, di raggiungere Subiaco, con chierici e con un drappello di soldati, per ripristinarne l'antico splendore. Ildebrando raggiunse il monastero in giugno, in giorno di domenica. Radunati i monaci nel capitolo, luogo destinato all'ascolto della divina parola, comunicò loro i fini della sua andata. L'abate Umberto, che era presente, si avvicinò ad Ildebrando, depose nelle sue mani il pastorale, confessò di essere stato la colpa del disastro del monastero e si dimise. Ildebrando propose ai monaci di eleggersi un altro abate ed all'unanimità fu eletto il monaco Giovanni, figlio di Giovanni di Oddone, monaco di Farfa, appartenente al suo seguito. Avvenne così la sua seconda elezione ad abate del monastero sublacense nel giugno 1069 e lo governò fino al 2 maggio 1121 anno della sua morte.
Contrasti fra l'abate Umberto e Landone di Civitella
Nei documenti medioevali dal diploma dell'imperatore ottone I del 967 fino all'abate Umberto (1050-1069) non si leggono più notizie su Civitella, L'abate Umberto, di nazionalità francese, eletto dalla comunità benedettina sublacense, ricevette la benedizione abbaziale dal pontefice Leone IX, il quale si era recato a Subiaco, per visitare il cenobio e lo speco di S. Benedetto. Tornando dalla Puglia, che aveva raggiunta per dirigere l'assedio del conte Gisulfo. Leone IX, nel suo soggiorno monastico, riconfermò al cenobio tutti i possessi con il diploma del 31 ottobre del 1051. Nel documento compare anche Civitella con la seguente frase: « Insuper confirmamur vobis... montem, qui vocatur Civitella ». Nella seconda metà del mille governava la popolazione di Civitella un certo Lando o Landone figlio di Trasmondo. Lando di Civitella insieme al Ildemondo furono scomunicati nel concilio romano del 1081 indetto da Gregorio VII e vennero denominati ambedue tiranni campanini .Una conferma indiretta per Lando di Civitella e diretta per Ildemondo per la loro provenienza dalla Campania è data dal Chronicon sublacense, quando narra che Ildemondo, dopo aver occupato renne, dominio del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, non potendola difendere da solo, la donò a Bartolomeo, Ciglio del principe di Capua, il quale venuto a Subiaco con Normanni e Longobardi, tentò di sbaragliare le milizie abbaziali, ma sconfitto dovette ritornare in Campania.Questa alleanza e la conseguente azione militare indicano tenaci contatti fra Ildemondo e la Campania. Il Mirzio afferma anche che Lando di Civitella sia oriundo della Campania, giacché denomina il padre Trasmondo, conte di Teano.L'Andreotti sostiene l'identità di Lando di Civitella e di Ildemondo, dei quali a lungo tratta il Chronicon sublacense, con i due personaggi scomunicati dal concilio romano del 1081 osservando che i dati storici loro relativi concordano con le fonti subiacensi e che non si conoscono altri, vissuti al loro tempo, ai quali possano attribuirsi le loro gesta. Dal 31 ottobre 1051, in cui Civitella è dichiarata possesso del monastero di Subiaco da Leone IX, al 1052, nel quale l'abate Umberto non annovera più Civitella fra i beni del monastero, che cosa era accaduto? Ci sembra ovvio pensare, riferendoci agli eventi degli anni successivi, che Landone aveva occupato e sottratto Civitella dalla giurisdizione del protocenobio sublacense, dando inizio al suo personale dominio su Monte Celeste, con un particolare regime comunale. A nostro parere quindi Landone divenne signore di Civitella tra il 1051 ed il 1052. Landone fu un uomo molto accorto, audace, patente e temuto, a giudicare dalle sue imprese. Nella sua vita spiccano i contrasti sorti con gli abati sublacensi Umberto e Giovanni V. L'abate Umberto governò il monastero di S, Benedetto e S. Scolastica in Subiaco dal 1050 al 1069. Tra l'abate Umberto e Lando di Civitella nacque un insanabile dissidio ed andò tanto oltre che l'abate Umberto catturò Lando e lo mise in prigione. Chronicon sublacense osserva che l'atteggiamento dell'abate Umberto fu provocato dal consiglio di imprudenti uomini, « consilio malorum hominum ». Lando fu rimesso in libertà, ma non sappiamo a quali condizioni. Egli tuttavia alimentò nel suo animo una decisa volontà di rivincita, Preparò minuziosamente una spedizione punitiva, riuscì a sorprendere fuori del monastero l'abate Umberto, lo trascinò in Civitella e lo chiuse in prigione, nel 1065. I monaci, costernati, si recarono a Civitella, per chiedere a Landone la liberazione del loro abate, ma egli non volle neppure riceverli. Di fronte a questo intransigente atteggiamento, si persuasero di aver perduto per sempre il loro superiore e consigliatisi, raggiunsero il monastero di Farfa e vi elessero per loro nuovo abate il monaco Giovanni figlio di Giovanni di Oddone, religioso di quella comunità. Lando, conosciuta l'elezione, ne fu costernato; convocò sublacensi e monaci, stipulò con loro un trattato e rimise in libertà l'abate Umberto. Non conosciamo le condizioni imposte nel trattato, ma è facilmente immaginabile che Landone con esso indeboli il potere sublacense e rafforzò il proprio. Il neoeletto abate Giovanni, con dignità e responsabilità ammirevoli, abbandonato Subiaco, se ne tornò fra i suoi confratelli di Farfa. Quale motivo indusse Landone a cambiare improvvisamente politica? Un motivo di opportunità e di accortezza diplomatica. Egli conosceva bene che il monaco Giovanni apparteneva alle potenti famiglie degli Ottaviani, conti di Sabina, e dei Crescenzi, prevedeva che sarebbe stato sostenuto da loro anche militarmente e perciò ritenne opportuno di tenerlo lontano da Subiaco, restituendo Umberto al suo monastero.L'abate Umberto, recuperata la libertà, commise un grave errore politico e religioso, perché < alienavit se a curia romanae sedis ». Egli appare infatti fra i seguaci dell'antipapa Onorio II. Questo nuovo orientamento fu l'occasione dell'abbandono e dell'ostilità dei suoi monaci e degli estranei di opposto schieramento politico.Le condizioni del protocenobio divennero tristissime. Il monaco Giovanni de Azzo con l'aiuto dei sublacensi e dei suoi sostenitori si costituì abate di una parte dell'abbazia e «similiter unusquisque partem, quam poterat invadere, suam faciebat ». Il papa Alessandro II, conosciuta la desolante situazione del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, che i suoi antecessori avevano amato ed arricchito, se ne rammaricò profondamente ed incaricò il suo arcidiacono Ildebrando, monaco pio ed ardimentoso, di raggiungere Subiaco, con chierici e con un drappello di soldati, per ripristinarne l'antico splendore. Ildebrando raggiunse il monastero in giugno, in giorno di domenica. Radunati i monaci nel capitolo, luogo destinato all'ascolto della divina parola, comunicò loro i fini della sua andata. L'abate Umberto, che era presente, si avvicinò ad Ildebrando, depose nelle sue mani il pastorale, confessò di essere stato la colpa del disastro del monastero e si dimise. Ildebrando propose ai monaci di eleggersi un altro abate ed all'unanimità fu eletto il monaco Giovanni, figlio di Giovanni di Oddone, monaco di Farfa, appartenente al suo seguito. Avvenne così la sua seconda elezione ad abate del monastero sublacense nel giugno 1069 e lo governò fino al 2 maggio 1121 anno della sua morte.